Mongolista russo, conosciuto per le numerose opere nel campo
linguistico-etnografico e della storia sociale,
Boris Vladimircov continua a essere il punto di riferimento nelle
ricerche dedicate alla formazione degli stati nomadi. Il suo concetto del
'feudalesimo nomade' diventò lo strumento metodologico indispensabile per la
storiografia sovietica nella descrizione delle riforme sociali di Gengis khan.
Biografia
Boris Vladimircov nacque a Kaluga nella famiglia
di un ingegnere. Nel 1905 Vladimircov studiò le lingue orientali a Parigi
presso Sorbona. Tornato in Russia, Vladimircov si laureò nella Facoltà delle
lingue orientali presso l'Università di San Pietroburgo, con la
specializzazione nelle lingue cinese e tungusa (1909). Due anni dopo,
Vladimircov terminò gli studi di specialistica nella linguistica mongola e calmucca
e vinse una borsa di studio per approfondire le conoscenze metodologiche a
Parigi, dove studiò la linguistica generale e la storia della letteratura
popolare. Particolarmente utile per la sua specializzazione (visti i frequenti
riferimenti nelle sue ricerche successive) era il corso tenuto da Paul Pelliot sul periodo della
formazione dell'Impero mongolo in base delle fonti cinesi. Tornato in patria, Vladimircov fu nominato il
docente privato presso l'Ateneo della capitale russa (1915), che segnò l'inizio
della sua carriere didattica, mai interrotta in seguito. La svolta decisiva per
il suo iter accademico rappresentò la Rivoluzione d'ottobre, pienamente sostenuta da
Vladimircov. Le simpatie espresse verso il regime sovietico gli assicurarono il
sostegno del governo e nel dicembre 1918 Vladimircov fu nominato il professore
ordinario dell'Istituto delle lingue orientali cui insegnamento era rivolto
agli studenti provenienti dalla
Buriazia, dalla Calmucchia e dalla
Mongolia. Cinque anni dopo, Vladimircov fu nominato il membro dell'Accademia
scientifica.
Linguista, etnografo e storico della società nomade,
Boris Vladimircov è diventato una delle figure più importanti nella
mongolistica russa e continua a essere il punto di riferimento, soprattutto
nelle ricerche sulla formazione degli stati nomadi. Oltre che una feconda
attività didattica, iniziata presso l'Università di San Pietroburgo nel 1915 e
mai interrotta fino alla sua morte, l'eredità scientifica di Vladimircov è
rappresentata dalle numerose opere di carattere linguistico-etnografico e dal
suo lavoro più celebre Il regime sociale dei Mongoli, pubblicato nella
redazione postuma nelle varie lingue europee.
Un particolare importante nella formazione scientifica di
Boris Valdimircov era l'alternanza degli studi accademici con l'attiva ricerca
sul campo. Durante i suoi lunghi viaggi, Vladimircov ebbe
occasione nell'adoperarsi allo stile di vita nomade che influì sostanzialmente
sulla sua produzione scientifica, piena dei dettagli minuziosi difficilmente
acquisibili nell'ambito degli studi puramente 'accademici'. Già nel
secondo anno dei suoi studi nell'università (1907), Valdimircov viaggiò presso i Calmucchi nella regione di Astrachan' e un
anno dopo egli fu mandato nella Mongolia occidentale (in mezzo dei Dorvod).
Nell'estate 1911 Vladimircov partì di nuovo per la Mongolia occidentale per
raccogliere il materiale linguistico presso i gruppi dei Bajad e dei Khoton.
Negli anni 1913-15 Vladimircov viaggiò nella Mongolia occidentale per
raccogliere i libri oirati (inclusa la produzione epica), e il materiale sul
dialetto dei Khalkha e sul sciamanesimo. Nel 1925 Vladimircov svolse
il suo ultimo viaggio in Mongolia, nel bacino del Kerulen, sempre per
raccogliere il materiale linguistico-filologico.
Per i lavori di Vladimircov
è caratteristica una sintesi fra le ricerche linguistiche e etnografiche e si
può asserire senza riserve che con l'arrivo di Vladimircov la mongolistica
russa passò definitivamente dalla fase della traduzione delle fonti alla loro
interpretazione. Le ricerche del periodo sovietico diventarono più
specializzate nei confronti di quelle precedenti, come ad esempio, nei
confronti delle opere piuttosto enciclopediche di Grigorij Grumm-Gržimajlo (Grigorij
Evimovic
Grumm- Gržimajlo pubblicò il primo volume della Zapadnaja Mongolija i
Ur'ankhajskij kraj nel 1914;
nonostante un'evidente erudizione dell'autore, la sua opera fu basata esclusivamente
sulle fonti tradotte nelle lingue europee). Nella sua produzione scientifica
Vladimircov prese le distanze dalle dispute a proposito del ruolo
storico dell'Impero mongolo diffuse nei cerchi accademici russi prima della
Rivoluzione d'ottobre (le figure più eminenti della disputa erano i suoi
maestri Vladislav Kotvic e Vasilij Batold. Se Kotvic, sulla scia di
Grumm-Gržimajlo, idealizzava i meriti di Gengis khan come l'unificatore della
nuova nazione dei nomadi, Bartold invece lo presentava come l'oppressore del
movimento democratico). Tale posizione è riflettuto nelle opere di Vladimircov
dedicate esclusivamente all'analisi e all'interpretazione del materiale
linguistico-etnografico e prive di qualsiasi valutazione del ruolo dei nomadi
nella storia della civiltà. L'unica eccezione rappresenta il suo Cinghis-khan,
pubblicato a Berlino nel 1922 e tradotto in seguito in francese e inglese.
Nonostante un evidente successo nell'Occidente, l'opera, influita dalle
ricerche di Vasilij Bartold, non era apprezzata dallo stesso autore che rifiutò
di pubblicarla nella patria. Fra i più importanti lavori di Vladimircov
accenniamo La raccolta delle favole mongole da "Pañcatantra" (1921) in cui l'autore rintracciò la
storia letteraria del buddismo nomade e analizzò l'evoluzione della lingua
mongola. Nel 1926, dopo l'annuale viaggio nella Mongolia e nella Cina,
Vladimircov presentò una serie degli articoli che descrivevano i risultati
delle sue ricerche sul campo e che servirono come una base per la pubblicazione
della Grammatica comparativa della lingua mongola e del dialetto dei Khalkha
(1929), l'opera più importante all'epoca nell'area linguistica.
Nell'introduzione della Grammatica Vladimircov promise ai
lettori di continuare il lavoro e di pubblicare il contributo sulla sintassi
della lingua mongola, ma in seguito,
egli cambiò sorprendentemente i suoi piani. Sembra però, che già nel corso del
suo viaggio nella regione nativa di Gengis khan (1925), Vladimircov progettò il
suo prossimo lavoro dedicato alla descrizione dei cambiamenti sociali avvenuti
nell'ambito della società nomade alla vigilia della creazione dell'Impero
mongolo. La sua Regime sociale dei Mongoli (pubblicato nell'Unione
sovietico nel 1934, tre anni dopo la sua morte) apparentemente contrasta la sua
produzione scientifica precedente, in realtà però essa rappresenta
l'applicazione della enorme quantità del materiale linguistico-etnografico nel
campo della storia sociale.Nei primi capitoli del suo ultimo lavoro Vladimircov considera le
radici dei cambiamenti sociali avvenuti nell'ambito del sistema tribale dei
Mongoli nel XII secolo, e rintraccia il processo della continua ramificazione
dei clan nomadi. (Le régime social des Mongols. Le féodalisme nomade, tr.
francese di Michel Carsow, Paris: Adrien-Maisonneuve, 1948, pp.
56-57, 64, 66, 85). Secondo l'autore, la causa principale per l'avvio di tale
processo erano i motivi economici che favorirono le tendenze individualistiche
dentro la società mongola e la creazione dei gruppi di transumanza più piccoli
(gli ayil) nei confronti delle agglomerazioni tribali (i kuren,
pp. 45, 55). Il rapporto della consanguineità dei clan (l'appartenenza
a così detta ossa, jasun) perdette gradualmente la sua attualità e
favorì la continua re-formazione delle nuove tribù provvisorie (irgan),
riunite insieme secondo gli scopi politici attuali (pp. 73-74, 100-101). I
cambiamenti sociali provocarono l'intensificazione dei conflitti militari e
l'ulteriore diversificazione del sistema tribale: i clan disfatti in seguito di
un conflitto si inglobavano dentro il clan vincitore e diventarono i suoi
vassalli (unagan bogol, pp. 78-81, 84). Il termine di 'vassallo' non è
usato casualmente da Vladimircov: la diversificazione sociale, avvenuta via i
conflitti militari, avrebbe avuto certe somiglianze con la società carolingia.
I clan assoggettati diventarono i vassalli dei capitribù, non dei clan interi,
come in precedenza; tutto ciò avvenne via i successi militari degli
aristocratici più fortunati e favorì la differenziazione sociale: la classe
superiore venne rappresentata dai signori della guerra (noyat) a cui
erano sottomessi il popolo (qarachu) e i servi (bogolchud, pp.
86-88, 92-93).
Fino a questo punto, le
conclusioni di Vladimircov rappresentano l'elaborazione delle opere dei suoi predecessori.
Infatti, già Ilja Beresin nell'introduzione alla traduzione di Rashid ad-Din
(compiuta nel corso degli anni 1858-88), considerava la società mongola, alla
vigilia della creazione dell'Impero, basata sulla differenziazione sociale. In
seguito, Vasilij Bartold approfondì l'analisi dei processi sociali, presentando
Gengis khan a capo di una fazione aristocratica opposta a quella democratica (Obrazovanie
imperii Cingis-khana,
“Zapiski Vostocnogo Otdela”,
X, 1896, p. 111). Vladimircov comunque, prende l'ipotesi di Bartold con certe
riserve e dimostra un'intensa presenza della nobiltà in campo dell'opposizione
alle riforme di Gengis khan (pp. 97, 106-108). La novità del lavoro di
Valdimircov è nel mettere in rilievo la crescente influenza della
clientela militare degli aristocratici nomadi. A base dell'analisi esaurente
della Storia segreta dei Mongoli e della Summa delle cronache di
Rashid ad-Din, Vladimircov presenta un elemento nuovo e, secondo lui, più
importante per la realizzazione delle riforme di Gengis khan. I nokot ovvero
i nobili militari distaccati dai propri clan (chiamati da Vladimircov
'comitatus', sulla scia di Tacito, in un luogo, e 'gens de maisonnée' in
altro), formarono un seguito permanente delle figure più carismatiche in mezzo
dell'aristocrazia nomade. I nokot funsero dalle forze più abili del
futuro imperatore (come anche dei suoi oppositori principali) e godettero
un'evidente prosperità economica, dato che nel tempo di pace, essi disponevano
i propri sudditi, affidatoli dal khan per creare il nuovo apparato
amministrativo saldamente fedele al suo sovrano (pp. 110-11, 114, 116-120,
123). Secondo Vladimircov, la prevalenza dei nokot avrebbe segnato un
trionfo delle tendenze individualistiche nei confronti dei vecchi
legami tribali (meritocrazia opposta al lignaggio) e la nascita del feudalesimo
mongolo (pp. 54-55, 70-71).
Bisogna notare certi difetti
nell'argomentazione di Vladimircov. Secondo l'autore, la distribuzione dei
sudditi in mezzo della clientela di Gengis khan avrebbe confermato il
possedimento privato della terra nell'ambito dell'Impero. Infatti, parecchie
fonti, citate da Vladimircov, dimostrano che la nuova aristocrazia controllava
rigidamente gli iter di transumanza dei propri sudditi e considerava i pascoli
disponibili appartenenti al proprio possesso. Vladimircov però, non può passare
sotto silenzio che il possesso del bestiame era più rilevante per la società
nomade nei confronti di quello terreno (pp. 144-45, 148-49). Nell'ambito
dell'Impero mongolo i nomadi ordinari ebbero il bestiame in pieno possesso, e
Vladimircov sembra di fallire nell'individuare lo strumento principale
dell'assoggettamento feudale (lo stesso difetto è inerente anche alle ricerche
sovietiche successive).
Per superare il problema e
per dimostrare la veridicità della sua ipotesi, Vladimircov ricorre
all'individuazione dei tratti istituzionali simili al feudalesimo occidentale.
Innanzitutto, Vladimircov dimostra la presenza nell'ambito dell'Impero della
gerarchia feudale e pone accenno sull'esistenza di un rituale del giuramento di
fedeltà (morguku) simile ai costumi europei (pp. 130-33, 134-35,
140-43). In seguito, Vladimircov approva che la distribuzione dei feudi servì
per il sostegno economico della clientela militare e, come in caso dell'Occidente,
portò inevitabilmente ad uno scontro fra la nuova aristocrazia e il governo
centrale, provocando la dissoluzione dell'Impero (pp. 129, 152-55, 160-62). Le
guerre feudali investirono la
Mongolia della seconda metà del XIV secolo contemporaneamente
con quelle europee, in cui i piccoli feudali (sayit) erano contrastati e
soppressi da parte dei rappresentanti della famiglia gengiskhanide. Secondo
Vladimircov, la società mongola del XV
secolo, con l'inerente assoggettamento dei nomadi secondo loro area di transumanza
(otoq), non divergeva dalle signorie dell'Europa occidentale. Notiamo di
nuovo le difficoltà di Vladimircov nel superare il problema del possesso di
bestiame anche per la società mongola del XV secolo e la sua dubbia asserzione
in merito dell'importanza rilevante del possesso terreno (pp. 171, 173, 180-83,
190, 194-96, 204-207, 210-11, 221, 224).
Infine, sottolineiamo una evidente influenza di
Vladimircov su tutti gli storici sovietici che trattarono in qualche modo la
storia mongola (i casi sono assai frequenti data ripercussione innegabile della
fondazione dell'Orda d'Oro sulla storia della Rus'). Dal punto di vista della
storiografia sovietica, il merito di Vladimircov era nell'assomigliare i
processi sociali dell'Europa occidentale a quelli dei Mongoli e nel fornire un
metodo per adottare la teoria marxista anche alla società nomade (difficilmente
adattabile prima data la mancanza dei segni sufficienti per lo sviluppo
economico e, quindi, anche sociale). Ogni mongolista o turcologo russo si sentiva
obbligato di riferirsi all'opera e condividere le sue conclusioni, con qualche
riserva ovviamente (ad esempio, Aleksander Jakubovskij non condivideva
l'opinione a proposito della precisa somiglianza della società mongola e quella
gallica nel XV secolo, Zolotaja Orda i eje padenie, Moskva, 1950). Le
eccezioni, ovvero la critica diretta, erano rarissime; il caso più esplicito
rappresenta Sergali Tolybekov. Secondo Tolybekov, i Mongoli non avrebbero
vissuto una fase feudale né nel dodicesimo né nel tredicesimo secolo, ma
avrebbero raggiunto questa fase solo più tardi, sotto l'influenza delle
popolazioni sedentarie. Tale ritardo sarebbe stato provocato dalla mancanza di
alcuna forma di proprietà terriera individuale data la sua poca importanza per
la società nomade. (Kocevoe
obscestvo kazakhov v
XVI- nacale XIX veka,
Alma-Ata, 1971, pp. 70, 103, 110, 116, 132-34, 136, 138, 141, 153,
164-65, 178, 180). Queste asserzioni comunque, provocarono un aspra
critica dei suoi colleghi (si veda, ad esempio Igor Vasilcenko, Esce raz ob osobennost'ah feodalizma u
kocevyh narodov, in
“Voprosy istorii”, 4, 1974, pp. 192-98), e il resto degli storici sovietici
presentarono la fondazione dell'Impero come la conseguenza delle riforme
feudali
Bibliografia
1909
Legenda o proiskhoždenii derbetskih kn'azej, “Živaja starina”, 18, fasc. 2-3, pp. 35-37.