Ultimo aggiornamento: 13 May 2021
Series: Cistercian Studies Series, Vol. 121
Di solito si preferisce recensire l’edizione di un testo piuttosto che la sua traduzione, soprattutto se si tratta di scritti, che almeno apparentemente non posseggono una particolare dignità letteraria. Può sembrare, dunque, strano dedicare una riflessione alla traduzione inglese degli scritti di Nil Sorskij pubblicata da D. Goldfrank. Vi sono, però, delle ragioni che rendono questa pubblicazione una pietra miliare nella ricerca sullo starec di Sora e in genere sulla letteratura monastica della Slavia ortodossa.
Lo studioso americano, che aveva già mostrato le sue doti nella versione degli scritti di Josif Volockij, ci offre innanzitutto un contributo originale alla conoscenza del personaggio e del monachesimo della sua epoca, cui è stato dedicato un importante convegno in Italia (Nil Sorskij e l'esicasmo. Atti del II Convegno ecumenico internazionale di spiritualità russa "Nil Sorskij e l'esicasmo nella storia spirituale e culturale della Russia" (Bose, 21-24 settembre 1994), a cura di A. Mainardi, Magnano 1995).
In secondo luogo Goldfrank ci offre un modello di traduzione e un metodo rigoroso per lo studio del testo. In questa pubblicazione, infatti, non solo si vagliano le traduzioni precedenti nelle diverse lingue, a partire da quella ottocentesca in russo, ma si lavora con scrupolo alla ricerca della fonti. Sulla base delle ricerche del gesuita G. Maloney e di F. von Lilienfeld, che già avevano identificato molte fonti greche, lo studioso ha cercato le versioni slave degli scritti monastici citati dallo starec, e ce ne ha offerto un’analisi preziosa.
Il volume è preceduto da un’ampia introduzione che (pp.3-109) che mira a ricostruire il mondo di Nil, ripercorrendone la biografia: la sua formazione a Mosca, il suo ingresso nel monastero di san Kirill di Beloozero, il pellegrinaggio al monte Athos, l’attività al ritorno in Russia. La accompagnano alcune brevi presentazioni di una decina di personalità, fra compagni e discepoli che ci aiutano a illuminarne la figura. Fra questi la più discussa è certamente la figura di Nil Polev, legata al suo presunto avversario Josif Volockij. Superando i clichè ormai antiquati sulle diverse posizioni a proposito della proprietà monastica e della condanna degli eretici che avrebbero assunto Nil Sorskij e Josif Volockij, retaggio della generazione successiva, lo studioso sottolinea la vicinanza delle due personalità e l’organicità di entrambi alla tradizione monastica russa. Seguono alcune pagine dedicate agli scritti dello starec che la tradizione ci ha tramandato, in cui si toccano in particolare due ordini di problemi, le fonti e il lessico, su cui ritorneremo.
La seconda parte del volume contiene le traduzioni. Lo studioso ci presenta solo gli scritti considerati autentici, in particolare la Tradizione (Predanie), la Regola (Ustav), tre lettere, l’introduzione e la conclusione alla raccolta di vite dei santi, da lui preparata, il testamento, a cui aggiunge poi in appendice alcuni scritti attribuibili a Nil Polev e Innokentij Ochljabinin, stretti collaboratori dello starec. Seguono il prezioso indice delle citazioni bibliche e una ricca bibliografia ragionata. Tutte le traduzioni sono accompagnate da abbondanti note (circa una decina per pagina), che riflettono il metodo di lavoro esposto nell’introduzione.
Lo studioso americano ha cercato con cura le fonti slave che ha trovato in particolare nei codici del monastero di Hilandar e nelle Menee di Macario. Fra le fonti patristiche percentualmente più importanti vi sono Isacco il Siro, Nikon della Montagna nera, Gregorio Sinaita, Giovanni Climaco. A distanza seguono Simeone il Nuovo teologo e Pseudo-Macario d’Egitto. E’ evidente la preminenza della tradizione siriaca. Non si è accontentato di segnalare le fonti patristiche, ma ha indicato con cura le fonti bibliche, anche quando vengono mediate dalla letteratura patristica. In qualche caso vengono segnalate le fonti liturgiche a partire dall’inno di Andrea di Creta, che, come confessa il traduttore, debbono ancora essere ben scandagliate. Si osserva se i nomi dei padri sono specificamente indicati, mettendo in evidenza per esempio come Nikon, da cui peraltro provengono diverse citazioni patristiche, pur massicciamente presente, non sia esplicitamente menzionato. In diverse occasioni con onestà l’autore riconosce che la fonte rimane sconosciuta.
L’ampio apparato delle traduzioni consente di percepire comunque l’impegno dello scrittore di mettere a frutto il pensiero dei padri, adattandolo alla sua riflessione. Ne emerge un quadro straordinario del lavoro del monaco russo, la cui originalità, a nostro parere, non consiste nella semplice glossatura degli scritti citati, ma proprio nella sua capacità di comporli insieme con una serie di aggiustamenti, mettendo in primo piano le citazioni bibliche, i logoi, che costituivano le armi principali della “battaglia mentale” del monaco. In particolare bisogna sottolineare che per Nil la definizione di “sacre” o “divine scritture” si riferisce al complesso degli scritti biblici, patristici e liturgici, come è indicato esplicitamente nella conclusione della sua Regola.
In questa prospettiva rimane ancora del lavoro da fare attraverso l’analisi delle forme di adattamento e di fusione in vista dello sviluppo di un pensiero, di una teologia della preghiera e della teologia monastica che si adattasse alla situazione storica. Non mancano nella prefazione una serie di osservazioni sugli artifici letterari che ricorrono negli scritti dello starec. Forse bisognava considerare la questione dei topoi, a partire dal topos dell’umiltà che ricorre all’inizio delle sue opere, come pure a una distinzione più rigorosa fra citazione e linguaggio. Per es. l’espressione “è scritto” ci appare più una forma ricorrente del linguaggio dei vangeli, piuttosto che una citazione. Siamo, comunque, ben lontani dalle traduzioni di Nil in lingua italiana che dipendono per lo più dall’originale francese o dalla versione russa. Fra l’altro quest’ultima in diversi casi come indica Goldfrank commenta più che tradurre il testo, trasformandosi in una nuova redazione del testo.
Non possiamo dire molto, invece, sulle scelte traduttorie in inglese, che non è la nostra lingua madre. Certamente si deve apprezzare lo sforzo di individuare una terminologia coerente che corrisponda allo slavo-ecclesiastico e al greco anche se determinate scelte ci lasciano un po’ perplessi. Per esempio la traduzione di pomyslu (logismos) con l’inglese urge. Comprendiamo la necessità di rendere la spinta passionale, ma in questo modo si perde il carattere chiaramente intellettualistico di questa dottrina. In italiano preferisco ancora parlare di “pensiero passionale”, anche la traduzione della passione dell’accidia con despondency ci lascia dubbiosi, essendo disponibile per i vizi capitali una terminologia inglese consolidata. Nelle note al testo l’autore ci offre una serie di osservazioni terminologiche e lessicali davvero utili e in diversi momenti cita persino la precedente versione inglese. Solo in qualche raro caso quest’ultima ci è sembrata più convincente.
Per tutto questo scrupoloso lavoro non possiamo che essere grati al collega della Georgetown University nella speranza che il suo lavoro contribuisca a un miglior studio delle fonti nell’ambito dei testi slavo-ecclesiastici.