Amitai-Preiss R.
Mongols and Mamluks
The Mamluk-Ilkhanid War, 1260-1281
Cambridge University Press Cambridge 2004
Scheda a cura di: Pubblici L.
pp. XIV-272
La prima edizione di questo volume uscì per lo stesso editore nel 1995. La ristampa in brossura, dopo quasi dieci anni, ci dà l’opportunità di parlare di un’opera fondamentale per la mongolistica contemporanea.
Da questa affermazione si può facilmente evincere con quanto favore chi scrive abbia accolto il libro di R. Amitai-Preiss e in particolare la stampa dell’edizione economica. In effetti gli studi di un certo livello scientifico sull’esperienza mongola in Egitto nel XIII secolo sono stati numerosi nel periodo fra le due guerre mondiali, ma si sono poi progressivamente dilatati fino a morire quasi del tutto negli anni Settanta, laddove l’indagine etnografica ha prevalso sugli studi prettamente storici e gli specialisti si sono solo marginalmente occupati dei rapporti fra l’impero mongolo e i vicini. Ciò tuttavia non è vero in egual misura per tutte le storiografie nazionali; se da un lato si osserva marcatamente questa rarefazione della produzione scientifica in Europa, dall’altro si può apprezzare come essa non sia calata sensibilmente negli Stati Uniti e, sebbene in misura inferiore, nella Russia sovietica.
All’indomani della devastante seconda incursione mongola a Ovest gran parte delle terre conquistate dall’esercito gengiskanide furono indebolite nelle loro infrastrutture di base e interi sistemi economici rischiarono il collasso. Soprattutto nella regione compresa fra il Caucaso e il bacino a nord del Danubio interi villaggi vennero saccheggiati e la popolazione massacrata. La storiografia si è a lungo occupata, e con ottimi risultati, delle conseguenze della conquista mongola in Asia Centrale (la conquista mongola di Bukhara, Samarcanda, Merv, Nishappur ecc. è divenuta nei secoli proverbiale e molte delle leggende sul popolo nomade vengono da lì). Al tempo stesso si è studiata con profitto la vicenda mongola in quella che divenne poi l’Orda d’Oro, ovvero parte delle odierne Russia Occidentale, Ucraina e Bielorussia. Meno si è indagata l’evoluzione politica successiva alle grandi conquiste e gran parte del lavoro è ancora oggi da fare.
La conquista della Persia iranica, evento a margine dei piani iniziali concepiti dall’esercito mongolo, fu forse il fatto più rilevante nel suo impatto psicologico a Occidente e il tanto spesso citato accordo latino-mongolo in funzione anti-islamica si alimentò da quel risultato. Le relazioni fra l’Iran mongolo (Il-khanato) e l’Occidente sono quindi state oggetto di ricerche più o meno valide; e comunque il fenomeno ha avuto un’eco importante nella produzione scientifica occidentale. Meno conosciute sono le relazioni fra l’Il-khanato e l’Egitto mamelucco, organismo politico particolarmente interessante da un punto di vista tipologico in quanto stato, ci si passi il termine, governato da un’esigua minoranza (e in questo simile a gran parte delle varie aree dell’impero mongolo).
Sin dalla conquista dell’Orda d’Oro e dell’Il-khanato i rapporti fra i neonati stati mongoli furono burrascosi e il conflitto fu praticamente costante fino alla fine del XIII secolo. L’Il-khanato era di fatto accerchiato politicamente e i pericoli venivano, oltre che da nord da oriente (khanato chagataide) e da occidente, l’Egitto mamelucco. Non tutti gli studiosi sono d’accordo sulle originarie intenzioni dei Mongoli di conquistare anche l’Egitto; noi siamo persuasi che fosse effettivamente così.
Il lavoro di Amitai-Preiss parte da questa convinzione per descrivere in maniera dettagliata e con rigorosa attinenza alla complessa massa documentaria la genesi e gli sviluppi successivi dei rapporti fra Il-khanato e Egitto mamelucco.
Dopo una nota introduttiva in cui spiega le ragioni che hanno portato alla realizzazione di questo studio e gli strumenti per esso adottati Amitai-Preiss descrive rapidamente la cornice storica in cui si inserisce l’oggetto del libro (capitolo primo: The historical background, pp. 8-25). In seconda analisi passa a descrivere l’evento che aprì le ostilità e che in parte sembra avvalorare la tesi di una programmazione consapevole, da parte dei Mongoli, della campagna militare contro l’Egitto: la battaglia di Ayn Jalut. Nel settembre del 1260, dopo una lunga guerra che portò i Mongoli a conquistare parte della Siria, si venne al confronto fra i due eserciti, mongolo e egiziano. L’autore descrive con grande senso critico gli eventi politico-militari che precedettero l’evento bellico (capitolo secondo: The battle of Ayn Jalut, pp. 26-48). L’esito della battaglia fu sorprendente: l’esercito mongolo venne sconfitto e tale defezione rimarrà come la prima in cui i gengiskanidi non furono in grado di risollevarsi. Bisogna aggiungere che poco prima (1258) era caduta Baghdad, simbolo dell’Islam mediorientale e baluardo ideologico per tutta la regione. Un’eventuale vittoria mongola contro i Mamelucchi avrebbe avuto conseguenze enormi non solo per quell’area. E proprio l’aspetto ideologico e anti-mongolo è l’oggetto del terzo capitolo (The formulation of anti-Ilkhanid policy, pp. 49-77).
L’indebolimento patito dopo la sconfitta di Ayn Jalut ebbe la sua massima espressione nel conflitto che vide opposti Il-khanato e Orda d’Oro negli anni seguenti (capitolo quarto: The search for a second front, pp. 78-105). Col quarto capitolo termina un’ideale prima parte del libro. Quella che secondo noi è la seconda parte si apre con la descrizione dei modi delle relazioni (capitolo quinto: Military and diplomatic skirmishing, pp. 106-38; capitolo sesto: The secret war, pp. 139-56).
Col capitolo settimo (Baybar’s posthumous victory: the second battle of Homs: 680\1281) Amitai-Preiss riprende l’analisi degli eventi e lo fa concentrandosi sulla vittoria mamelucca di Homs avvenuta nel 1281 e che decretò il definitivo trionfo mamelucco sui Mongoli. Baybars, l’eroe di Ayn Jalut, era però morto, avvelenato a Damasco, nel 1277, per questo Amitai-Preiss parla, a ragione, di vittoria postuma. La conclusione vera e propria del volume è affidata al capitolo nono (The Mamluk-Ilkhanid frontier, pp. 202-13) in cui l’autore traccia un quadro geografico e politico delle frontiere fra le due entità statali. Una sorta di riassunto generale degli aspetti più importanti nelle relazioni mongolo-mamelucche costituisce il capitolo decimo (Mamluks and Mongols: an overview, pp. 214-35).
Alcune utili mappe e una ricca bibliografia, insieme con l’indice analitico, chiudono il volume.
In generale sui lavori di Amitai-Preis si può dire solo bene; si tratta di uno studioso molto attento alle problematiche storiche che preferisce trattare un argomento solo apparentemente limitato nel tempo e nello spazio piuttosto che offrire un’ampia, ma incompleta opera di sintesi. In questo libro egli colma una lacuna che da tempo vi era negli studi sull’impero mongolo. C’è da sperare che dopo questo tipo di ricerche (per le quali Amitai-Preiss non è solo: basti pensare ai lavori di N. Di Cosmo, T. Allsen, F. Schmieder, solo per citarne alcuni) gli specialisti riescano a trovarsi per riordinare le idee e mettere insieme i risultati delle loro più recenti esperienze scientifiche. Dopo aver letto Mongols and Mamluks questa esigenza la si avverte ancora di più.