Ultimo aggiornamento: 25 May 2021
Scheda a cura di: Neville L.
Recenti pubblicazioni hanno finalmente riportato all’attenzione degli storici gli aspetti fondanti dell’autorità a Bisanzio, utilizzando talvolta modelli di individuazione e di comparazione dei tratti comuni con l’Occidente, con cui l’impero d’Oriente avrebbe condiviso alcuni dei meccanismi di trasmissione e di gestione del potere (cfr. ad esempio il volume di E. Patlagean, Un Moyen Âge grec. Byzance IXe-XIIe siècle, Paris 2007, che tra poco sarà disponibile anche in traduzione italiana, edito da Dedalo). Rimane tuttavia aperta la questione su quanto i cambiamenti nella società bizantina possano essere assimilati alle esperienze del Medioevo occidentale, soprattutto per quanto concerne alcuni tratti peculiari dell’organizzazione statale e della gerarchia del potere. Per questo motivo ci è sembrato significativo segnalare lo studio di Leonora Neville che tenta, attraverso un’analisi “discendente” dalle forme del potere centrale fino alla realtà delle province, di comporre in un quadro unitario le caratteristiche e le linee di sviluppo proprie della storia politica di Bisanzio nei secoli X-XI.
L’area presa in considerazione è quella centrale e fermamente all’interno della sfera del controllo imperiale, ovvero le province di Tracia, Ellade, Peloponneso e Asia minore occidentale. In queste regioni, che costituivano il cuore dell’impero, l’amministrazione imperiale era più diretta rispetto alle regioni di frontiera, dove il governo avrebbe agito in modo alquanto differente. Tale considerazione nasce anche sulla scia di uno studio, ormai non tanto recente, sulle frontiere balcaniche (P. Stephenson, Byzantium’s Balkan Frontier: A Political Study of the Northern Balkans, 990-1204, Cambridge 2000), nel quale emergeva che, nella dialettica fra province esterne e interne, la stabilità e prosperità di queste ultime sarebbe stata assicurata dal controllo imperiale sulle regioni di frontiera. Secondo questo modello interpretativo, mentre le aree più eccentriche dell’impero erano governate in modo blando e attraverso incentivi offerti ai potentati locali, più diretta e rigorosa era invece l’autorità sulle province interne, i cui tributi erano vitali per il mantenimento del potere imperiale. L’autrice, accogliendo in parte questa tesi, arriva a meglio definire chi fossero i veri detentori del potere nelle province centrali.
L’analisi parte da una rivisitazione degli aspetti salienti della sovranità imperiale per poi concentrarsi via via su fondamentali questioni relative all’organizzazione della società: la famiglia e le comunità locali da una parte, le imposizioni del governo imperiale e i grandi casati dell’aristocrazia fondiaria dall’altra. Un’attenzione particolare è sempre posta a scoprire i mezzi di manipolazione e i comportamenti coercitivi messi in atti dalle aristocrazie locali nei confronti sia del potere centrale sia delle comunità. Il significato di autorità è concepito quindi in modo ampio, cioè in quanto abilità di produrre cambiamenti efficaci nella società attraverso svariate forme di persuasione o di coercizione.
Per ricostruire questo quadro negli ambiti cronologici considerati l’autrice non poteva che utilizzare testimonianze già ampiamente esaminate dagli studiosi in quanto centrali nella storia dell’impero: dalle fonti ufficiali della capitale, come i trattati e le liste di precedenza (De ceremoniis di Costantino Porfirogenito e il Taktikon di Filoteo) agli atti della pratica dei monasteri dell’Athos e ai testi di natura fiscale (come il Catasto di Tebe e il cosiddetto Trattato Fiscale), con il grande supporto inoltre dei racconti agiografici del X secolo, che com’è noto in area bizantina sono molto ricchi di informazioni sulla vita sociale. Nel riesaminare testi molto noti della letteratura e della storiografia bizantina, tuttavia, l’attenzione dell’autrice è costantemente rivolta alla terminologia che individua i rapporti di potere, e ciò nella convinzione che il vocabolario politico bizantino enfatizzasse un sistema fluido piuttosto che uno stato fisso nelle relazioni fra individui. Particolarmente eloquenti diventano, in tal senso, i termini che designano i rapporti umani: relazioni di servizio, di parentela o di associazione alla famiglia (oikos, bandon, synthrophoi, ecc.).
Apice assoluto del sistema di potere e di relazioni era l’autorità del basileus, tanto indiscutibile quanto apatica verso la vita delle province. Gli imperatori cioè esercitavano l’autorità in senso repressivo verso gli esponenti dei grandi casati aristocratici, che dal cuore delle province spesso attentavano al potere sovrano, ma con molto distacco verso i problemi reali delle comunità. Di conseguenza ai poteri locali venivano imposti obiettivi ristretti, quali soprattutto la riscossione delle imposte e l’organizzazione dell’esercito. Fuori dalle alte sfere, dunque, l’azione politica era costantemente sollecitata dagli ufficiali imperiali, in un sistema che lasciava così vaste opportunità per le popolazioni locali di agire con un certo margine di libertà dalla coercizione legale e dal controllo centrale. L’autorità nelle province era di fatto detenuta da gruppi di potere legati a un casato potente, i cui membri avevano avuto successo non solo nell’acquisire grandi patrimoni fondiari ma anche nella capacità di intimidire fisicamente o di manipolare economicamente gli individui più deboli. Questi casati, com’è ormai noto, basavano la propria preminenza sociale sulla partecipazione al potere sovrano attraverso il sistema dei titoli, con cui il basileus li associava alla maestà imperiale. Perciò tale sistema si potrebbe considerare come l’anello di congiunzione fra gli spazi del potere, che venivano così ordinati gerarchicamente in tutta una serie di “servizi” resi al casato imperiale. E come chiarisce bene l’autrice, “within the fundamentally relational Byzantine epistemology, service was a relationship, not a status. The distinctions in status that have underpinned efforts to separate the ‘state’ from the ‘public’ and analyzed the effects of the former on the latter do not fit well with Byzantine society”(p. 166).
Tuttavia la preminenza di questo casati era continuamente messa in discussione dalla natura stessa dell’autorità, una natura fluida in quanto costantemente sottoposta ai mutamenti al vertice. Ciò determinava continue lotte fra i gruppi familiari per il prestigio di un casato ed era un fattore costante nelle dinamiche delle società provinciali: l’immagine che ne emerge dunque non è quella di un mondo statico e sonnolento, come spesso è stato rappresentato, ma quella di un complesso di relazioni instabili e mutevoli in cui l’ordine, la taxis, era piuttosto un modello di rappresentazione che non un principio effettivo di organizzazione.
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