Lane G.
Daily Life in the Mongol Empire
Hackett Publishing, Indianapolis-Cambrige 2009
Scheda a cura di: Pubblici L.
Series: The Daily Life through History, pp. 336
Quando ho ricevuto notizia di questa pubblicazione sono rimasto assai perplesso almeno per due ragioni: la prima è il titolo; parlare di vita quotidiana relativamente a un’esperienza, come quella mongola, che ancora oggi facciamo fatica a storicizzare, è un’operazione per certi aspetti suggestiva, ma poco utile. La seconda è che questo tipo di ricerche che strizzano l’occhio alla cosiddetta storia di genere, o peggio come viene chiamata col termine inglese gender studies, poco o nulla aggiungono alla nostra conoscenza soprattutto perché non si cimentano con le fonti primarie e rinunciano alla sfida della riflessione sul materiale di prima mano. Ho letto il libro dunque con molto scetticismo e forse anche con qualche pregiudizio.
Dopo averlo letto debbo ammettere che le mie esitazioni erano in gran parte infondate, e ne ho tratta soddisfazione.
Il libro di George Lane segue la scia del suo precedente lavoro sull’Il-khanato (Early Mongol Rule in Thirteenth-Century Iran. A Persian Renaissance, New York2003). È un lavoro di ottimo livello anche se meno istruttivo del precedente, e d’altra parte se ne differenzia anche perché scritto con tutt’altro scopo. Cercherò di spiegare i motivi che mi hanno colpito positivamente e quali sono le (poche in verità) parti che mi sembrano più deboli.
Gran parte delle conquiste mongole furono il risultato di una pianificazione maniacale, quasi niente fu lasciato all’improvvisazione; tuttavia il progetto dell’avanzata a est nacque in seguito a un’organizzazione assai meno studiata. Esso fu sostanzialmente l’effetto di una politica di espansione progressiva che la stessa classe dirigente locale non riuscì subito a prevedere, né a controllare. Gli effetti dell’avanzata, prima lenta poi a mano a mano sempre più rapida, a ovest furono importanti su tutti gli aspetti della vita civile in regioni vaste. Lane ne parla nell’introduzione e lo fa con quella capacità di sintesi che è tipica degli storici di scuola anglosassone. Il risultato sono poco più di dieci pagine che dovrebbero costituire un modello per i giovani studiosi, sia per il bello stile in cui sono scritte sia per le molte informazioni in esse contenute.
Pur tuttavia il paragone fra l’area eurasiatica dei secoli XIII e XIV e il fenomeno contemporaneo che va sotto il nome di globalizzazione è francamente ardito. Piacerebbe a tutti gli storici di quel periodo poter analizzare a fondo i mutamenti sociali, politici, economici che intervennero in seguito all’invasione mongola; purtroppo non ci è dato di farlo. Le fonti sono scarse, rarefatte, non sempre attendibili, spesso di seconda mano. Insomma, gioverebbe sempre lasciare i fenomeni storici nella loro complessità contemporanea, senza spingersi a confronti col presente, che è presente appunto, e nonostante le suggestioni che certi paralleli diacronici possano rappresentare, ben poco ha in comune con un’epoca così lontana; in tutti i sensi. Quell’esperienza va vista e analizzata in sé, senza spingersi oltre, se vogliamo ottenere risultati scientificamente validi.
Il volume è diviso in dodici capitoli ognuno dei quali dedicato a un aspetto della storia minuta di questa popolazione che dalla confusa dislocazione tribale passò in un breve lasso temporale alla costruzione dell’impero. Vengono analizzati i primi sviluppi delle tribù che verranno in seguito unificate da Temujin (Steppe life, Appearance e Dwellings), gli aspetti militari (The Army) e quelli più strettamente sociali che rappresentano la parte centrale del libro (Health and Medicine, Drinking and the Mongols, Food, Religion and the Mongols, Women and the Mongols). Un capitolo particolarmente interessante è dedicato alla concezione normativa presso i Mongoli e alle loro leggi (Law and Mongol Rule, pp. 227-56). Ci è parsa ottima l’idea di scrivere un capitolo conclusivo dedicato ai racconti popolari mongoli, quelli che nonostante le pluridecennali censure imposte dalla lunga dominazione sovietica, sono sopravvissute nell’immaginario collettivo del popolo mongolo e che costituiscono per esso ancora oggi un legame forte col passato.
L’apparato bibliografico è diviso in due parti: una prima parte dedicata alle fonti e una seconda parte, Annotated Bibliography, agli studi monografici e ai saggi sulla storia mongola. Di grande utilità appare il commento che l’Autore riserva a ogni singolo libro o articolo, spiegandone brevemente contenuto e qualità.
Il lavoro di George Lane ha molti meriti. Di alcuni abbiamo già detto, ma il più rilevante ci è apparso l’approccio verso la storia mongola. Lo storico inglese è obiettivo, non si lascia andare ai radicalismi che talvolta sono il carattere dominante della storiografia specialistica, attenta a difendere o attaccare questa o quella parte (il mito dei barbari spietati e distruttivi a ogni costo e il mito contrapposto della dominazione tollerante). Lane affronta il complesso tema dell’eredità lasciata dai Mongoli nelle terre che conquistarono e governarono basandosi sulle testimonianze e senza prendervi parte.
Questo volume è una sintesi assai ben riuscita; una ricerca che dimostra come si possa trattare un argomento complesso senza banalizzarlo in poche pagine e affrontare temi diversi fra loro senza risultare superficiali e confusi. L’interrogazione rigorosa della documentazione è indispensabile per fare storia. Lane vi riesce benissimo e ciò dimostra che aveva ragione un grande storico del medioevo, Nikolaj P. Ottokar, quando diceva che in fondo l’unico determinismo per lo storico non può essere altro che quello delle fonti.