Ultimo aggiornamento: 13 maggio 2021
L’eresia pauliciana, fondata nel
VII secolo in ambienti di cultura armena, fu un movimento religioso e
protestatario, assimilato dai loro nemici alla detestata setta manichea e al
Manicheismo, una religione dualistica che le leggi romane giudicavano empia e
politicamente sospetta, legata com’era all’ambiente culturale mesopotamico e
persiano, ossia all’area controllata dall’arcinemico stato sasanide. Dopo la
persecuzione antipauliciana scatenata dal Cattolici Ortodossi, i seguaci di
Paolo scelsero la via militare della ribellione, nei convulsi anni della crisi
iconoclastica. Tale secessione religiosa e politica, unica nella storia di
Bisanzio, fu un drammatico problema risolto con un potente sforzo militare da
parte dei Romei, ossia dei Bizantini, veri discendenti dei Romani imperiali. La
deportazione dall’Anatolia Orientale in Tracia (Plovdiv) di decine di migliaia
di Pauliciani accese focolai di eresia a poche centinaia di chilometri dalla
capitale Costantinopoli.
Dualismo mitigato, probabilmente di derivazione marcionita, il movimento
religioso divenne materia di studio e di meditazione per la cultura dei
Riformati, che vedevano nel Paulicianesimo una Riforma prima della Riforma;
mentre divenne per il Cattolicesimo terra di missione, a partire dal XVI
secolo, quando le superstiti comunità eretiche di Bulgaria (con al centro
Plovdiv) decisero gradualmente di abbracciare la fede cattolica romana. Aperta è la discussione sulla influenza operata dai Pauliciani sugli Aleviti e
su altre manifestazioni della spiritualità anatolica islamica o (para)islamica.