Pastoureau M.
L'orso
Storia di un re decaduto
A cura di Bongiovanni Bertini, C. (traduttore) - Einaudi, Torino 2008
Scheda a cura di: Pastoureau M.
348 pp.
Un gruppo di armati con picche, spade, alabarde, pifferi, tamburi,
cappelli piumati è riunito attorno a un vessillo dove spicca un orso
rampante; a guardar bene, la stessa truppa è formata da un gruppo di
orsi sul sentiero di guerra. È l'illustrazione di una celebre cronaca
svizzera (la «Spiezer Chronik» del 1489) che racconta le glorie e le
grandi imprese dei bernesi ed è la copertina (peccato che sia stampata
alla rovescia) dell'ultimo libro di Michel Pastoureau: L'Orso. Storia di
un re decaduto or ora uscito da Einaudi, egregiamente tradotto da
Chiara Bongiovanni Bertini. Un libro che ripercorre la storia di un
animale, della sua immagine, del posto che, nel corso dei secoli, ha
occupato nell'immaginario degli uomini.
Michel Pastoureau è un grande storico con un approccio audace e con
curiosità molto particolari. È di formazione uno "chartiste", uscito da
quella straordinaria istituzione che è la parigina "école des Chartes",
baluardo un tempo della grande cultura positivista, da cui vennero
eminenti archivisti, paleografi, araldisti, archeologi, storici. Da
questa formazione Michel Pastoureau, che unisce un'impeccabile
erudizione a una capacità narrativa non comune, ha tratto una curiosità
insaziabile che lo ha spinto a indagare la storia simbolica delle
società europee – si vedano i saggi raccolti in Medioevo simbolico
(Laterza 2005) – partendo dalle vicende e dalle fortune di dati ed
elementi spesso trascurati o considerati poco significativi. Può essere
un colore come il blu cui ha dedicato un celebre libro tradotto in
italiano (Ponte alle Grazie, 2002) oppure il ruolo giocato nel
l'immaginario collettivo delle società umane dagli animali, adorati,
venerati, apprezzati, demonizzati sterminati, disprezzati a seconda dei
tempi e dei luoghi. Come nel caso dell'orso la cui lunga storia di
conflittuale convivenza con l'uomo è testimoniata da millenni. In una
grotta del mezzogiorno della Francia sono dipinte sulle pareti immagini
di orsi e, circondato da altri crani, un cranio d'orso giace su una
roccia in un modo che fa pensare a una disposizione rituale. Il tutto
databile a circa 30mila anni fa. Una sorta di coabitazione di uomini e
orsi nelle caverne risale però molto più addietro. In una grotta del
Périgord è stata ritrovata una sepoltura di un uomo di Neanderthal posta
accanto a quella di un orso e coperta dalla medesima lastra di pietra.
Tutto fa credere quindi che nell'età paleolitica l'orso abbia esercitato
sull'uomo un potente richiamo, simbolico e non solo. Facendo un salto
di molti millenni troveremo l'orso protagonista di tante vicende e miti
greci e celti, ma sarà tra i germani e gli scandinavi, presso cui molte
saghe lo cantano, che l'orso troverà un vero e proprio culto. È
l'indiscusso re della foresta, può stare eretto come un uomo, è
all'origine di stirpi reali, indossarne la pelle, berne il sangue
conferisce al guerriero il potere della belva, misurarsi con lui è la
prova suprema che consacra l'eroe, è l'animale totemico per eccellenza.
Sarà questo che lo perderà.
Impegnata in una lunghissima campagna per sradicare il paganesimo nei
suoi dei, nei suoi culti, nei suoi riti, nei suoi luoghi sacri la chiesa
combatterà infatti contro l'orso una dura battaglia su ogni terreno sia
materiale che simbolico. La volontà di Carlo Magno di introdurre il
cristianesimo tra i Germani sradicando i culti pagani porterà verso la
fine dell'ottavo secolo a un autentico sterminio degli orsi. D'altra
parte le ricorrenze in qualche modo legate alle vicende dell'orso,
l'entrata in letargo agli inizi di novembre, la sua temporanea uscita
dal letargo in febbraio, furono soppiantate da feste religiose, la prima
con la festa di San Martino (11 novembre, (in Francia il nome più usato
per gli orsi sarà quello di Martin), la seconda con la Candelora
fissata al 2 febbraio.
I più potenti guerrieri nel conflitto con l'orso furono i santi. Nei
racconti agiografici l'orso appare di frequente e in essi la temibile
fiera è regolarmente domata, ammansita, ridotta in schiavitù dal santo.
Questi in viaggio la riduce a bestia da soma per rimpiazzare l'asino o
il bue che l'orso gli aveva divorato e la obbliga a trasportare a Roma i
propri bagagli, o ancora gli fa tirare l'aratro, pascolare le pecore,
tagliare e trasportare la legna per costruire un monastero.
Umiliato l'orso perde il prestigio che ne aveva fatto il re degli
animali e abbandona il suo trono al leone che per la chiesa era meno
temibile, più lontano, meno implicato in riti religiosi. Poco a poco il
leone detronizzò l'orso cui rimasero fedeli, gli abitanti delle città
che lo avevano nel proprio stemma e che al nome germanico dell'orso
(Bär) legavano la propria origine (Berna, Berlino) e un personaggio di
eccezione, il grande e raffinatissimo duca Jean de Berry che lo adottò
come propria divisa, lo ricercò per il proprio serraglio (ebbe tre orsi
di cui conosciamo i nomi) lo volle compagno nei suoi viaggi, e per la
propria tomba ne fece scolpire un'immagine da porre ai suoi piedi.
Il declino dell'orso non si arrestò. Ammaestrato, costretto a tenersi
eretto come un uomo, trascinato nelle fiere da giullari e saltimbanchi,
divenne oggetto di scherno per il suo portamento incerto, sgraziato e
maldestro. Caduto sempre più in basso, praticamente sparito dall'Europa
l'immagine dell'orso conobbe in immagine una postuma rivincita quando,
all'inizio del novecento, due geniali fabbricanti di bambole in America e
in Germania inventarono pressoché contemporaneamente l'orso di peluche
destinato a divenire compagno di ogni bambino.
Questa la vicenda ricostruita da Michel Pastoureau. Una storia triste,
una piccola storia che attraverso i suoi mille dettagli («le bon dieu
est dans le détail» pare dicesse Flaubert) incoraggia a leggere
diversamente la grande storia.