Ultimo aggiornamento: 15 dicembre 2021
Scheda a cura di: Merli J.
Il commercio di schiavi nella regione del Mar Nero raggiunse l’apice tra la metà del XIII e la metà del XV secolo. Più precisamente, fu nel 1260 che l’imperatore bizantino Michele VIII Paleologo concesse privilegi commerciali nel Mar Nero ai governanti di Genova e nel 1268 ne concesse di simili anche a Venezia. Sulla base di questi privilegi, i mercanti mediterranei si stabilirono nel Mar Nero ed esportarono vari beni, compresi gli schiavi. L’esportazione di schiavi continuò fino al 1475, quando le forze ottomane conquistarono Caffa, la principale colonia di Genova nella penisola di Crimea. Nonostante questo, il commercio di schiavi non terminò ma fu riorganizzato per servire le esigenze ottomane piuttosto che quelle italiane o dei mamelucchi.
Anche al suo apice la tratta degli schiavi del Mar Nero non è mai stata l’unica fonte di schiavi del Mediterraneo. Mercanti genovesi e veneziani acquistavano i prigionieri dei conflitti in corso in tutta la regione mediterranea. Tuttavia, la maggiore domanda di schiavi nel Mediterraneo medievale non era concentrata in Italia ma al Cairo, patria del sultano. I Mamelucchi preferivano gli schiavi del Mar Nero per il servizio militare, ma importavano anche un gran numero di schiavi africani per il servizio domestico e schiavi dai Balcani, dall’Egeo, dall’Asia centrale e dall’Oceano Indiano quando erano disponibili.
Hannah Barker focalizza la sua ricerca sul sistema commerciale che trasportava schiavi dal Mar Nero nel Mediterraneo. L’autrice non ha voluto presentare una storia comparata della schiavitù nell’Italia medievale e in Egitto, ma ha preso in considerazione i tre importatori più significativi di schiavi del Mar Nero – Genova, Venezia e il sultano mamelucco – e li ha studiati assieme proponendo un lavoro che presenta una novità nel panorama degli studi specialistici. L’ostacolo più grande incontrato in questo lavoro è stato sicuramente la lingua poiché uno studio integrato del commercio mediterraneo degli schiavi del Mar Nero deve attingere a fonti sia in latino che in arabo. Senza dubbio le fonti a cui l’Autrice ha potuto attingere sono molte e la bontà del suo lavoro si nota dal modo in cui ha riunito in modo coerente fonti di generi diversi. Sicuramente le fonti latine più utilizzate sono i registri notarili poiché i notai erano l’intermediario giuridico nelle transazioni. Di conseguenza, gli archivi di stato di Genova e Venezia contengono centinaia di registri che contengono le imbreviature dei notai, ricchi di informazioni sulla vendita, il noleggio, la donazione, l’eredità e la manomissione di schiavi. Tuttavia questi registri non sono sufficienti per comprendere a pieno il funzionamento del sistema commerciale degli schiavi per questo l’Autrice, come si può notare dalla ricca bibliografia, ha utilizzato anche fonti di altro genere per completare il quadro. I documenti fiscali forniscono un contesto economico per i singoli atti di importazione esportazione, vendita, possesso e manomissione di schiavi registrati dai notai. Il contesto giuridico proviene da collezioni medievali di diritto romano, canonico e civile. Infine, sono state utilizzate anche lettere, racconti di mercanti, racconti di viaggiatori, sermoni e opere letterarie che arricchiscono i contesti intellettuali, culturali e sociali della tratta degli schiavi.
Per quanto riguarda le fonti arabe, quelle più preziose per questo lavoro sono i manuali di consiglio per l’acquisto di schiavi. L’Autrice utilizza il famoso Risāla jāmiʿa li- funūn nāfiʿa fī shirā al-raq īq wa- taqlīb al-ʿ abīd General Treatise on the Skills Useful in the Purchase and Examination of Slaves che Ibn Buṭlān ha composto nell’XI secolo e altri tre manuali meno conosciuti del tardo periodo mamelucco: l’anonima Al-Ta ḥqiq fī shirā’ al-raq del XIII secolo, Ibn al-Akafani, Al- Naẓir wa- al- taḥqīq fī taqlīb al- raqīq del XIV secolo, e al-‘Ayntabisi Al- Qawl al- sadīd fī ikhtiyār al- imā’ wa- al- ‘abīd. Nonostante la ricca bibliografia, composta da testi italiani, inglesi, francesi e arabi, questa potrebbe comunque essere ampliata con fonti russe, ottomane e forse georgiane che permetterebbero a questa ricerca di ampliarsi ulteriormente.
Il libro è diviso in due parti: i primi quattro capitoli definiscono la schiavitù e come questa è stata istituita nel Mediterraneo tardo medievale e vengono evidenziati alcuni aspetti della cultura comune della schiavitù, in particolare quelli legati al commercio e al mercato. Il primo capitolo “Slavery in the Late Medieval Mediterranean” spiega come la schiavitù fosse legale e socialmente accettabile tra Cristiani, Musulmani ed Ebrei che vivevano nel Mediterraneo tardo medievale. L’Autrice ci spiega come lo status di schiavo si basasse sulla differenza religiosa: le persone non dovevano schiavizzare gli aderenti alla loro stessa religione. Il secondo capitolo “Difference and Perception of Slave Status” illustra come il linguaggio e la razza fossero usati per classificare gli individui come schiavi o come persone libere. Nel terzo capitolo, “Societies with Slave: Genoa, Venice, and the Mammluk Sultanate”, si delinea la demografia della popolazione di schiavi del tardo Medioevo mediterraneo. Il quarto capitolo, “The Slave Market and the Act of Sale”, descrive le posizioni e le operazioni dei principali mercati di schiavi a Genova, Venezia, Il Cairo e Alessandria. Viene analizzata nel dettaglio la vendita dello schiavo e vengono messe in evidenza alcune clausole contrattuali specifiche per la vendita di schiavi, come la garanzia sanitaria e la clausola di consenso.
La seconda parte esamina le varie forze che hanno plasmato la tratta degli schiavi dal Mar Nero al Mediterraneo. Nel quinto capitolo “Making Slave in the Black Sea” viene chiarito che i meccanismi principali per schiavizzare le persone libere nella zona del Mar Nero erano la cattura violenta e la vendita da parte di parenti. Vengono esaminate poi le condizioni regionali e locali che hanno governato la tratta degli schiavi attraverso il Mar Nero. La rivalità di lunga data tra Genova e Venezia per il controllo dei principali porti e navi nel Mar Nero e nel Mediterraneo è stata sicuramente un fattore importante. Un altro elemento che è analizzato in questo capitolo è l’alleanza Mamelucco-Orda d’Oro, stabilita a metà del XII secolo. Il cuore del lavoro di Hannah Barker è senza dubbio il sesto capitolo, “Constraining Disorder: Merchants, States, and the Structure of the Slave Trade”, nel quale si descrivono i singoli mercanti che compravano e vendevano schiavi in piccoli numeri e alla rinfusa, per sé stessi e come agenti per altri. Vengono tracciate le rotte utilizzate da questi mercanti, i modi in cui hanno collaborato e gareggiato l’uno con l’altro, i rischi e le sfide logistiche che hanno dovuto affrontare, le ricompense che hanno ricevuto e il ruolo degli stati nel limitare, dirigere e tassare le loro attività. Da questo capitolo riusciamo a capire come la tratta degli schiavi del Mar Nero non era condotta da mercanti di schiavi professionisti ma da opportunisti che compravano e vendevano schiavi assieme ad altre merci e li trasportavano in navi dal carico misto. Gli schiavi erano beni finanziari che potevano essere affittati, venduti, dati in pegno e assicurati. Erano anche beni sociali che permettevano al padrone di mostrare la sua ricchezza e il suo potere sugli altri. Il settimo, ed ultimo, capitolo, “Crusade, Embargo, and the Trade in Mammluk Slaves”, colloca la tratta degli schiavi del Mar Nero all’interno dei contesti religiosi e diplomatici del movimento crociato tardo medievale e della più ampia lotta tra potenze cristiane e musulmane per il controllo del Mediterraneo.
La Barker, attraverso questo lavoro, sottolinea come l’esistenza di una cultura comune della schiavitù nel Mediterraneo tardo medievale non dovrebbe oscurare il fatto che ci sono state differenze significative tra le pratiche mamelucche e italiane di schiavitù. Il sultano mamelucco e i suoi amir addestravano gli schiavi maschi per il servizio militare mentre i maestri d’elite favorivano gli eunuchi come supervisori all’interno delle loro case. I padroni italiani non usavano schiavi militari o eunuchi. Per comprendere tutte le differenze tra le due sfere l’autrice propone un approccio integrato che tratta il commercio degli schiavi in Italia e nel regno mamelucco come due rami di un unico sistema per poter comprendere la struttura apparentemente caotica della tratta degli schiavi tra il Mar Nero e il Mediterraneo.
Aprono il volume l’indice analitico e due mappe mentre in chiusura è collocata un’amplia bibliografia.
Il libro di Hannah Barker è sicuramente innovativo per quanto riguarda l’approccio, possiamo dire che questa è la prima monografia di sintesi sull’argomento dopo il monumentale lavoro di di C. Verlinden negli anni Cinquanta del Novecento. Il risultato è senza dubbio è un lavoro importante nonostante non siano state prese in considerazione fonti greche, russe, ottomane e georgiane. Questo testo fornisce sicuramente un quadro utile per studiare la schiavitù del Mar Nero utilizzando una più ampia varietà di fonti e lingue.
Jacopo Merli