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Fra la composizione e le prime testimonianze manoscritte di un testo può intercorrere un lungo lasso di tempo e possono intervenire delle modifiche, testimoniate da varianti di diverso tipo (grammaticali, lessicali, testuali). In misura maggiore o minore, questo accade per tutte le opere letterarie, a cominciare, ad esempio, dai poemi di Omero o dalla Divina commedia di Dante. Spesso il nostro approccio alla letteratura non tiene conto della storia del testo e delle sue varianti, anche quando esiste una distanza significativa fra il momento della composizione e le prime testimonianze conservate. Si perde così la percezione di questa storia, come se avessimo fra le mani l’originale uscito dalla penna dell’autore. Il filologo è abituato per mestiere a percepire la storia del testo e si impegna nel delicato lavoro di ricostruirne le diverse tappe, cercando di risalire, laddove possibile, alla forma originale. Ciò non toglie che anche le successive trasformazioni siano importanti per studiare la trasmissione di un’opera. Nella Vita di Costantino, nonostante la notevole distanza delle prime testimonianze dal testo originale, non ci sembra si possa mettere in dubbio l’unità della composizione con la sua struttura e la sua articolazione. Quando il numero dei testimoni è molto elevato, certamente la ricostruzione del testo originale diventa più complessa. Per ricostruire l’archetipo, cioè lo stadio più vicino all’originale concepito dallo scrittore, è necessario studiare i singoli codici e confrontarli fra loro. I manoscritti sono analizzati e riuniti in famiglie che posseggono le medesime caratteristiche. Si tratta di un’operazione complessa e delicata. Lo studioso deve individuare e analizzare le varianti, cioè le differenze che vi sono fra i testi contenuti nei diversi manoscritti. Vi possono essere varianti di carattere linguistico, che dipendono ad esempio dalla parlata del copista. Fra le varianti di carattere testuale assumono un’importanza fondamentale le omissioni e le aggiunte. Quando due manoscritti mostrano le medesime omissioni e le medesime aggiunte è evidente che entrano a far parte della stessa famiglia. A volte possono semplicemente essere l’uno la copia dell’altro (apografo). Studiando i rapporti fra le varie famiglie e i vari testimoni è possibile ricostruire una specie di albero genealogico (stemma codicum), individuando dipendenze dirette o mediate fra i manoscritti. Possono svolgere un ruolo importante anche gli errori, che debbono essere accuratamente classificati. Un nome di persona o un nome geografico poco conosciuto potevano essere storpiati e poi essere tramandati dai successivi testimoni manoscritti in forma travisata. In molti casi si riesce a disegnare l’albero genealogico dei codici, rappresentato come un albero rovesciato in cui si risale fino a testimoni sempre più antichi, e infine ai capostipiti delle varie famiglie, che rimandano all’archetipo, e cioè all’originale. Esistono diverse scuole di pensiero in seno alla critica testuale o ecdotica che è andata formandosi in epoca umanistica sui testi biblici e classici. Oggi si può far riferimento a due approcci sostanzialmente differenti. In Occidente domina il metodo di K. Lachmann, rielaborato successivamente da P. Maas e G. Pasquali (Storia della tradizione e critica del testo, Firenze 1988, ed. or. 1934). Secondo questa tradizione, particolarmente radicata in Germania, la questione fondamentale è la ricostruzione dell’archetipo (in ted. Urtext). Per la tradizione russa, in particolare secondo la riflessione di D. S. Lichačev, ci si deve invece concentrare sulla storia, sui diversi stadi della formazione del testo, che posseggono ciascuno la propria importanza. Mentre nel primo caso assume il ruolo più importante l’atto creativo dell’autore, nel secondo l’attenzione si sposta sulla storia della sua tradizione e, quindi, della sua fruizione. Sono due modi di affrontare i medesimi problemi, ma il secondo approccio mette in evidenza come ogni manoscritto possegga una propria individualità, e come nella fase creativa di determinate opere si debba considerare non solo il lavoro nella sua prima stesura, ma anche quello della sua trasmissione e fruizione.
Bibliografia: A. Stussi, Fondamenti di critica testuale, Bologna 1998.