Millet ortodosso

Sec. VII-XV

All’interno dell’impero ottomano le popolazioni greche, slave, albanesi e romanze di fede cristiana che risiedevano nelle diverse province non dipendevano dalle autorità locali, ma direttamente dal patriarca di Costantinopoli che, in qualità di etnarca, rappresentava davanti al sultano la sua comunità religiosa (millet, termine turco di origine araba). Le comunità che appartenevano al millet, quindi, mantenevano sostanzialmente inalterata la loro organizzazione sociale e le loro tradizioni religiose, pur con forti limitazioni, anche se dovevano pagare una tassa all’impero, la tassa di capitazione, sempre attraverso la loro rappresentanza, che di fatto li discriminava nei confronti dei musulmani. Lo stesso avveniva con le altre comunità cristiane, ad esempio gli armeni, o le comunità ebraiche. Questo privilegio, infatti, era concesso alle religioni “del libro”. Dalle comunità slave, inoltre, erano spesso prelevati dei fanciulli che, educati nella capitale e cresciuti nella religione islamica, entravano a far parte del corpo militare scelto dei giannizzeri. Solo per un certo periodo si costituì un millet serbo con la rifondazione del patriarcato serbo (1557-1766), per iniziativa del pascià Sokollu Mehmet, che era di origine serba. Questa struttura, che contribuì fortemente a saldare l’appartenenza nazionale con la tradizione religiosa, andò in crisi alla fine del XVIII secolo con il risveglio delle coscienze nazionali, quando entrarono in contrasto la comunità greca dominante, che mirava a imporre la propria lingua e la propria cultura, e le comunità slave, serbe e bulgare, che invece miravano ad acquisire una propria autonomia. Un ruolo importante ebbero anche le grandi potenze europee, il regno di Francia e gli imperi asburgico e russo, che si atteggiarono a protettori delle comunità cristiane dell’impero ottomano. 

Bibliografia: İ. Ortaylı, The Ottoman Millet System and Its Social Dimensions, in R. Larrson (a cura di), Boundaries of Europe, Stockholm 1998, pp. 120-6.


Di: Garzaniti M.
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