Kirchenslavische Sprache Sec. X-XVI
Fin dal X sec. lo slavo ecclesiastico rappresentò la lingua letteraria di una vasta area dell’Europa centro-orientale, dalle rive dell’adriatico alle steppe euroasiatiche, abitata da popolazioni slave meridionali e orientali, che, aderendo al cristianesimo di tradizione bizantina, hanno costituito la cosiddetta “Slavia ortodossa”. Alle sue origini si riconosce l’opera di Costantino(-Cirillo) e Metodio (v. quadro), che prima dell’863, su commissione dell’imperatore bizantino Michele III, elaborarono l’alfabeto glagolitico (v. tabella) e, basandosi verosimilmente su una parlata slava dell’area di Tessalonica, da cui provenivano entrambi, tradussero alcuni libri di uso liturgico, a partire dai vangeli e dal salterio. Si cominciò dunque a proclamare in slavo della sacra scrittura, ponendo le basi di una nuova lingua sacra, che, nonostante l’iniziale approvazione papale, incontrò l’ostilità crescente del mondo latino-germanico. Dopo la morte di Metodio (†885) l’eredità cirillo-metodiana mise radici nell’impero bulgaro, dove i discepoli di Metodio proseguirono l’opera di traduzione e cominciarono a produrre opere originali sul modello bizantino, continuando a usare l’alfabeto glagolitico, ma preferendo l’alfabeto cirillico, che, se si escludono alcuni grafemi di derivazione glagolitica, coincideva con la maiuscola greca (v. tabella). Si consentì così la celebrazione di più ampie parti della liturgia in slavo e si diffusero opere teologiche, che favorirono l’elaborazione di un lessico teologico-filosofico e di una sintassi secondo il modello greco, che costituirono la prima fase dello slavo ecclesiastico, tradizionalmente definita “paleoslavo” o “paleobulgaro”. Il paleoslavo, che rappresenta la più antica testimonianza scritta di una lingua slava, è di particolare importanza per la ricostruzione dello “slavo comune”, la lingua originariamente parlata dalle popolazioni slace, che all’epoca delle migrazioni (VI-VII sec.d.C.) cominciò a perdere la sua omogeneità. Ne conserva, infatti, alcune caratteristiche arcaiche (la sillaba aperta, la presenza etimologicamente corretta di jer e nasali, il duale, l’aoristo, l’imperfetto, ecc…), anche se nella maggioranza delle testimonianze dominano ormai alcuni tratti slavo-meridionali (trattamento dei dittonghi in liquida, palatalizzazioni). Fra i principali manoscritti paleoslavi si possono ricordare il Codice Zografense, il Codice Mariano, il Vangelo di Assemani, il codice Cloziano (in glagolitico) e il Libro di Sava e il Codice Suprasliense (in cirillico), a cui si debbono aggiungre alcune iscrizioni. L’eredità cirillo-metodiana si impiantò anche in Dalmazia, dove si diffuse il cosidetto “glagolitico-croato” o “redazione croata” dello slavo ecclesiastico, che, adottando un alfabeto glagolitico modificato graficamente (glagolitico quadrato) e subendo forti influenze latine, servì alla celebrazione liturgica di rito romano fino all’epoca contemporanea, espandendo la sua influenza nel XIV sec. anche in area ceca e polacca. Ben più limitata cronologicamente è l’influenza cirillo-metodiana in area boema, in cui la tradizione slava sopravvisse solo fino all’XI sec., favorendo il precoce sviluppo di una letteratura in vernacolo (v. lingua ceca). Con la conversione al cristianesimo della Rus’ (988) il paleoslavo mise le sue radici anche in area slavo-orientale, segnando la cosiddetta “prima influenza slavo-meridionale”. Soppiantando definitivamente il greco nell’uso liturgico, il paleoslavo assunse alcune caratteristiche fonetiche e morfologiche delle parlate locali (per esempio la pleofonia: es. Volodimirù al posto di Vladimirù), dando vita alla “redazione russa (o slavo-orientale)” dello slavo ecclesiastico, in cui si distinguono successivamente diverse varianti locali corrispondenti allee principali aree geografico-politiche (area rutena, area di Novgorod, area moscovita). Elementi slavo-orientali sono presenti già nel più antico manoscritto slavo datato, il Vangelo di Ostromir (1056-1057). Allo stesso modo in area balcanica si può osservare un influsso delle parlate locali sulla lingua scritta, che determinò la nascita di una “redazione bulgara” (si parla anche di “medio-bulgaro”), con una più tarda variante “moldava”, e di una “redazione serba” dello slavo ecclesiastico, in cui è possibile individuare anche una variante “bosniaca”, mentre continuava l’opera di traduzione dal greco, soprattutto di letteratura di ambiente monastico o di uso liturgico. All’interno della Slavia ortodossa opere originali e in traduzione potevano circolare ed essere copiate, subendo solo modesti adattamenti ai caratteri linguistici delle diverse redazioni. Lo slavo ecclesiastico, pur nelle sue varianti, coesisteva con le parlate locali in un rapporto che progressivamente si è evoluto verso il bilinguismo. Solo nel XIV sec., mentre si diffondeva nei Balcani l’esicasmo bizantino (v.), si cominciò a elaborare in area bulgara una forma dello slavo ecclesiastico, che, recuperando il modello più antico, identificò con maggiore sicurezza una norma linguistica unitaria, con caratteristiche slavo-meridionali, e favorì una vasta opera di “correzione dei libri” allo scopo di preservare integra l’ortodossia. La sua diffusione in area slavo-orientale, che prende il nome di “seconda influenza slavo-meridionale”, grazie soprattutto a monaci e prelati provenienti dai Balcani, consentì la formazione di uno slavo ecclesiastico, che pur conservando alcuni tratti fonetici e morfologici slavo-orientali finì per affermarsi nel corso dei secoli come normativo in tutta l’area ortodossa (soprattutto dopo l’occupazione turca dei Balcani). In epoca moderna estese la sua influenza persino sulla redazione croato-glagolitica, che nell’ottica della Controriforma cattolica doveva diventare uno strumento fondamentale per la riunificazione con il mondo cristiano orientale. La codificazione di questa forma dello slavo ecclesiastico di “redazione russa (o slavo-orientale”) è avvenuta solo fra la fine del XVI e l’inizio del XVII sec. nelle terre rutene (Ucraina-Bielorussia), grazie soprattutto alla Grammatica di Meletij Smotrickij (1619, v. immagine), mentre ormai si faceva profonda l’influenza del latino nell’intera area slavo-orientale. Lo slavo ecclesiastico, che in questi territori subiva la concorrenza della prosta mova, sviluppatasi sulle basi della lingua elaborata nella cancellereria del gran principato lituano, continuò comunque a svolgere la funzione di lingua letteraria della Slavia ortodossa almeno fino all’inizio del XVIII sec. Solo con lo sviluppo delle lingue letterarie nazionali (russo, bulgaro, serbo e infine ucraino e bielorusso) lo slavo ecclesiastico entrò in una nuova fase della sua storia, il “nuovo slavo ecclesiastico”, la sua diffusione si limitò agli ambienti ecclesiastici e monastici, per poi rimanere confinato alla celebrazione liturgica, dove ancora oggi è in uso esclusivo solo nella chiesa ortodossa russa. La sua influenza su alcune lingue slave moderne, in particolare sulla storia della lingua russa (v. lingua russa) e l’antichità delle sue testimonianze manoscritte, ne fanno un elemento fondamentale negli studi di slavistica e indoeuropeistica.
Bibliografia: Th. Eckhardt, Azbuka. Versuch einer Einführung in das Studium der slavischen Paläographie, Wien - Köln 1989; Ch. Hannick, Systéme et fonction du slavon ecclèsiastique comme langue écrite supranationale au moyen-age et dans les temps modernes, in R.B. Finazzi, P.Tornaghi, a cura di, Cinquant’anni di ricerche linguistiche: problemi, risultati e prospettive per il terzo millennio. Atti del IX Convegno internazionale di linguisti (Milano 8-10 ottobre 1998), Alessandria 2001; V. Jagiç, Entstehungsgeschichte der Kirchenslavischen Sprache, Berlin 19132; F. Mareš, Die neukirchenslavische Sprache des russischen Typus und ihr Schriftsystem, in P.A. Gil'tebrandt, Spravocnyj i ob"jasnitel'nyj slovar' k Novomu Zavetu, II, München 1988, pp.V-XXXVII (reprint a cura di H. Keipert e F.V. Mareš); R. Picchio, Church Slavonic, in A.M. Schenker, E. Stankiewicz, a cura di, The Slavic Literary Languages: Formation and Development, New Hawen 1981, pp.1-33 (trad. it. Lo slavo ecclesiastico, in R. Picchio, Letteratura della Slavia ortodossa (IX-XVIII sec.), Bari 1991, pp.103-143)