Sec. VII-XV
Con il termine slava (letteralmente “gloria”, “glorificazione”) si indica la celebrazione annuale del santo patrono di famiglia, un costume profondamente radicato nella cultura popolare serba, peraltro quasi privo di corrispondenze nel restante mondo slavo. Secondo vari studiosi, in esso sopravvivrebbero rituali clanici di età pagana, poi reinterpretati in forma sincretica dopo l’adozione del cristianesimo. L’effettiva introduzione del rituale nella pratica della Chiesa ortodossa serba è fatta risalire addirittura a san Sava (1174 ca.-1236) (cfr. riquadro 114, p. 246), mentre la forma attuale della cerimonia è stata formalizzata dal metropolita Mihailo nella seconda metà del XIX secolo. Nella società tradizionale, la celebrazione della “Slava” implicava la riunione di tutti i discendenti maschi, con le rispettive famiglie, presso la casa del capofamiglia. Alla vigilia della Slava, la casa viene visitata dal pope, che benedice gli ingredienti (l’acqua in particolare) con i quali vengono preparati la tradizionale pagnotta a forma di corona (lo slavski kolač, che simboleggia il corpo di Cristo) e un preparato a base di frumento (il koljivo, simbolo di morte e di resurrezione). Tutto il giorno, prima della cena rituale, accanto alle vivande e all’icona del santo patrono, arde una candela di cera d’api, che può essere spenta solo con un poco di vino rosso (a simboleggiare il sangue di Cristo). Solitamente, il kolač è decorato da una croce e dalle lettere is xs ni ka (abbreviazione di “Gesù Cristo vince”, in greco); una C (la s cirillica) in ciascuno dei quattro riquadri formati dalla croce allude al motto Само слога Србина спасава (“Solo l’unità salva i serbi”).
Bibliografia: Gasparini (1973, pp. 302-3, 499-500, 561-2, 567, 575) B. Grubačić, M. Tomić, Srpske slave: narodni običaji i verovanja, narodne pesme i zdravice, slavska jela i pića, Beograd 1988.